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PATAGONIA 2015

Francesco Ratti • gen 21, 2016

Per la fine del 2015 ci siamo riservati il privilegio di un viaggio coi fiocchi: la Patagonia! Viaggio questo sia verticale e alpinistico alla scoperta di questi luoghi tanto lontani quanto famosi ma anche viaggio-vacanza in famiglia dato che tutta la mia famiglia mi ha seguito a El Chalten per un mesetto a cavallo tra dicembre 2015 e gennaio 2016!Poter combinare vacanze in famiglia e alpinismo in questi luoghi è possibile in quanto a El Chalten ci sono tutte le comodità di un qualsiasi paese di montagna delle alpi con innumerevoli possibilità di bellissime passeggiate ed escursioni nelle vicinanze…...Resta comunque il fatto che passare un mese nello stesso posto non è forse l’ideale in termini di “turismo”, ma devo ammettere che in vita mia ho avuto tante fortune e forse la più grande è stata quella di incontrare una persona come Domi che capisce le mie passioni e le condivide e sa apprezzare le occasioni che la vita le offre così come arrivano. Alla fine comunque, nonostante le paure iniziali di partire così lontano con i bambini piccoli, abbiamo passato delle bellissime vacanze in famiglia e i bambini si sono divertiti come matti durante tutto il viaggio.Partiamo un po' carichi!Eccoci arrivati!!Panorama da El Chalten!Ma veniamo ora agli aspetti alpinistici della nostra visita in Patagonia. Inizialmente il viaggio era stato programmato insieme all’amico William che aveva la possibilità di viaggiare più o meno durante lo stesso nostro periodo. Detto questo a El Chalten la comunità di alpinisti è abbastanza aperta e ci si può facilmente aggregare a qualcuno nel caso ci si ritrovi senza partner. Risolto questo aspetto resta de valutare il meteo, le condizioni e in base a questi ultimi definire gli obiettivi. Io personalmente come “prima volta” in Patagonia avevo come obiettivo principale quello di scoprire luoghi nuovi e capire gli stili e le strategie da adottare qui, non mi ero prefissato nessuna via o montagna come obiettivo principale. Fitz Roy e Cerro Torre sono ovviamente le montagne più famose della zona e quelle più “popolari”: è anche vero però che sulle vie più gettonate di queste montagne, durante le finestre di bel tempo, si concentrano la maggioranza delle cordate. Le condizioni da noi trovate al nostro arrivo erano molto secche: l’inverno aveva portato poche precipitazioni e il mese di novembre era stato molto caldo e soleggiato, insomma condizioni ideali per fare vie di roccia più che di misto. Purtroppo però il meteo durante praticamente tutto il mese di dicembre è stato davvero pessimo: in totale abbiamo visto forse un paio di giornate di bel tempo e ovviamente non una di fila all’altra! Con William ne approfittiamo per fare qualche giro esplorativo della regione e facciamo un paio di tentativi cercando di sfruttare le due giornate di bel tempo che il meteo ci offre: la prima volta ci spingiamo (insieme anche a Luchino che si unisce a noi per l’occasione) fino al famoso “circo de los altares” alla base del Cerro Torre ma, nonostante la magnifica giornata che ci attendeva, siamo costretti a rinunciare a salire la montagna a causa di una forte nevicata che praticamente sommerge la nostra tenda. La seconda volta saliamo il ghiacciaio alla base del Fitz Roy ma William si sente male e siamo obbligati a fare dietrofront. Insomma fino a Natale non si combina gran che in montagna e sono davvero contento che la mia famiglia sia con me per poter approfittare di un vero periodo di vacanza con loro che ci mancava ormai da tanto tempo. Poco prima di Natale arrivano anche gli amici Ale e Claudia e il giorno di Natale lo passiamo tutti insieme nella nostra “cabaña” strafogandoci di “asado” mentre fuori nevica come fosse pieno inverno!! Ovviamente le condizioni sulle montagne cambiano drasticamente: le precipitazioni hanno portato molta neve che inevitabilmente si accumula sulle cenge e va a intasare le fessure.Io e William nella nostra "snowcave" durante il nostro primo giretto a Paso SuperiorRisveglio al "Circo de Los Altares" decisamente "bianco" dopo una notte di intense nevicate (sullo sfondo l'imponente gruppo del Cerro Torre)Per fine anno però si annuncia una finestra di qualche giorno di bel tempo: finalmente sembra si possa avere qualche giornata decente per poter scalare!! Le montagne sono però cariche di neve e quindi bisogna scegliere con attenzione l’itinerario da percorrere. William ha l’aereo di ritorno proprio a fine anno e decide che ne ha abbastanza della Patagonia: durante quest’ultima finestra non scalerà, viaggio decisamente sfortunato il suo, se ne ritornerà in Europa senza aver fatto neanche un tiro di corda qui. Io quindi mi aggrego a Ale e Claudia in modo da formare una cordata da 3 persone (numero ideale spartirsi i pesi e per poter gestire eventuali situazioni di emergenza).C’è da dire che Ale (Baù) è decisamente un VIP e come tutti i VIP conosce gente importante. Veniamo quindi consigliati “nientepocodimenoche” da Rolo Garibotti in persona che ci raccomanda una bella via sulla Poincenot, la “Carrington-Rouse”: un viaggio alpino molto lungo dice lui, avvicinamento complesso e ambiente super ma difficoltà tecniche abbastanza moderate, il che dovrebbe rendere la cosa fattibile nonostante la tanta neve presente. La “Aguja Poincenot” è una bella guglia che si staglia imponente a ovest del Fitz Roy e la cui cima viene abitualmente raggiunta per la via Whillans-Cochrane, che in pratica è la “normale” della montagna: percorre una rampa di neve e misto non banale partendo dal ghiacciaio del Fitz Roy per poi continuare su una facile cresta fino in cima.  La nostra via invece sale dal versante opposto: per raggiungerla dobbiamo percorrere la valle tra Fitz Roy e Cerro Torre fino a raggiungere il bivacco detto “Polacos” per poi risalire un sistema di fessure di una rampa sul versante ovest della montagna. Partiamo il primo giorno di buon ora da El Chlten, l’idea è quella di raggiungere in giornata una cengia posta al di sopra del bivacco “Polacos” in modo da guadagnare qualche ora di salita il giorno dopo. Partiamo alle 6 di mattina, percorriamo il popolare trekking fino alla “Laguna Torre”, qui costeggiamo il lago alla sua sinistra e mettiamo piede sul ghiacciaio che forma la valle che divide il gruppo del Cerro Torre da quello del Fitz Roy per poi risalire fino al bivacco detto “Niponino” e puntare verso “Polacos”, posto sul versante opposto della valle. Superiamo “Polacos” e continuiamo verso l’alto sulla morena fino ad entrare nel canale che scende tra la Aguja Poincenot e la Aguja Desmochada dove incontriamo già molta neve. Sulla neve si sfonda molto essendo ormai pomeriggio, quindi appena possiamo ci portiamo sulle rocce laterali del canale e facciamo qualche tiro di corda per arrivare infine alla nostra cengia da bivacco che sono ormai le 5 del pomeriggio. Montiamo in fretta la tenda e in breve siamo al caldo nei nostri sacchi a pelo a riposarci e a mangiare.Guado patagonico sulla strada verso Niponino (foto: A.Baù)La morena che ci porterà al ghiacciaio (foto: A. Baù)Sul ghiacciaio nella valle del Torre (foto: A. Baù)Il Cerro Torre fa capolino tra le nuvoleSulla morena quasi arrivati a "Polacos" (foto: A. Baù)Salendo il canale di neve verso l'attacco della via (foto: A. Baù)Primo bivacco (foto: A. Baù)Il giorno dopo partiamo alle prime luci e risaliamo ancora il canale fino alla rampa dove attacca la nostra via. Inizialmente facciamo qualche tiro di misto alternato a pendii di neve poi ci teniamo sulle rocce di destra che sono decisamente più pulite dalla neve e possiamo arrampicare più facilmente. Tenendoci a destra della linea originale però, più in alto siamo costretti a fare un lungo traverso verso sinistra con passaggi in placca e un tiro di misto davvero non banali. Tornati sulla linea originale andiamo a prendere il sistema di fessure dove si concentrano le difficoltà tecniche della via: fessure che però troviamo spesso intasate di ghiaccio e la progressione diventa inevitabilmente lenta e macchinosa. Ci avviciniamo comunque alla fine di questa grande rampa caratteristica della nostra via che termina sulla spalla della montagna, circa 300mt al di sotto della vetta. Sull’ultimo tiro della rampa c’è talmente tanto ghiaccio che praticamente è una goulotte e la superiamo con tanto di piolet-traction e passi di misto (mai banali) e finalmente mettiamo piede sulla spalla della Poincenot dove troviamo uno spiazzo perfetto per montare la tenda e per il nostro secondo bivacco. La vista da qui è stupenda e ci godiamo uno spettacolare tramonto patagonico. Il sottoscritto sul primo tiro: subito del sano misto! (foto: A. Baù)Ale finalmente può mettere le scarpette e seguire fessure asciutte!Ale sale cercando la linea con meno neve...Il sottoscritto all'uscita del complesso traverso che ci ha riportato sulla via originale (foto: A. Baù)                   Il traverso visto dall'alto!Ale attacca le fessure della rampa che troverà spesso bagnate e piene di ghiaccio! Secondo bivacco!! (foto: A. Baù) Ancora un po' di strada ci attende prima della cima...Autoscatto al tramonto (foto: A. Baù)Tramonto sulla valle del TorreIl giorno dopo ripartiamo alle prime luci nella speranza di percorrere rapidamente gli ultimi 300mt della via, dove le difficoltà dovrebbero essere moderate. In effetti possiamo scalare con gli scarponi ma gli ultimi 300mt di dislivello si rivelano in realtà dallo sviluppo molto superiore dato che zig-zaghiamo qua e là alla ricerca del punto più semplice per passare: alla fine contiamo 10-12 tiri, tutti sui 50mt, e alle 11 di mattina arriviamo in cima dove ci godiamo ancora un bellissimo panorama a 360°. Foto e selfie di vetta di rito e via, partiamo a fare le doppie sul versante opposto per scendere sul ghiacciaio del Fitz Roy. Alle due del pomeriggio arriviamo sopra un canale che scende sul ghiacciaio che però è molto carico di neve ed è in pieno sole: per prudenza ci fermiamo in attesa che vada in ombra in modo da poter scendere in sicurezza. Per fortuna il canale non ci mette molto ad andare in ombra e verso le quattro e mezza riprendiamo a scendere le ultime doppie che ci depositano sul ghiacciaio al di là della terminale. Qui la neve è marcia che più marcia non si può, sprofondiamo fino al ginocchio! Nonostante sia già tardi continuiamo a scendere, anche perché abbiamo finito le scorte di cibo e l’idea di un terzo bivacco a digiuno non ci allieta molto. Ci pappiamo quindi tutta d’un fiato l’infinita discesa da Paso Superior, Laguna de Los Tres, campamento Poincenot e infine arriviamo a El Chalten che ormai è mezzanotte passata: è il 31 dicembre e la gente per le strade brinda all’Anno Nuovo!!Primi tiri con panorama mozzafiatoSaliamo veloci ma la strada è ancora lunga!Ale finalmente battaglia con l'ultimo tiro!Cumbre!!Vista dalla vetta sul Torre.......e sul Fitz!Si scende! (foto: A. Baù)Doppie belle verticali!Siesta aspettando che il pendio sotto di noi vada in ombra (foto: A. Baù)Finalmente sul ghiacciaio ci dirigiamo verso Paso Superior (foto: A. Baù)Autoscatto a "Laguna de Los Tres" con alle spalle il gruppo del Fitz RoyDopo il nostro Capodanno un po’ fuori dagli schemi un’altra finestra si prospetta all’orizzonte proprio prima della nostra partenza, il meteo sembra finalmente aver cambiato tendenza! William è ormai partito e per quest’ultima finestra facciamo sempre cordata con Ale e Claudia: adesso le condizioni generali sono migliorate, le pareti si sono relativamente ben asciugate e noi decidiamo di andare a fare visita a una delle lavagne di granito più impressionanti del pianeta: la parete ovest del Cerro Piergiorgio. Partiamo come al solito per una lunga giornata di avvicinamento: questa volta si passa per il rifugio Piedra del Fraile per poi risalire lungo il lago Electrico fino al ghiacciaio Marconi del quale risaliamo il suo braccio meridionale fino alla base della parete che raggiungiamo in 8/9 ore. Qui montiamo la tenda e ci riposiamo: per l’indomani il programma è quello di salire la parte più impegnativa della via Greenpeace per raggiungere delle cenge, sulle quali vorremmo bivaccare, poste al di sotto dei camini che danno accesso alla cresta sommitale e quindi alla vetta, che contiamo raggiungere il mattino dopo il bivacco in parete.Il Cerro Piergiorgio fa capolino in fondo al Glaciar MarconiAttraversando il Glaciar Marconi Sur (foto: Ale Baù)L'imponente parete nord-ovest del Cerro PiergiorgioLa morena che ci porta al nostro bivacco e la valle attraversata durante l'avvicinamentoAmbiente super!Bivacco 5 stelle!Attacchiamo la via con le prime luci e dopo i primi tiri con roccia un po’ rotta la scalata diventa molto piacevole su granito di buona qualità e ottime fessure. La via non è mai banale e la scalata è sempre esigente e fisica. In parete ci muoviamo con un saccone che viene recuperato dal primo di cordata e due zaini che vengono portati dai secondi di cordata (abbiamo con noi tutto il materiale da bivacco più scarponi e ramponi per uscire in vetta). Saliamo comunque il più velocemente possibile, la giornata è magnifica, il sole ci scalda e i panorami sono mozzafiato (su questa parete più si sale, più lo sguardo può spaziare sulla vastità dello Hielo Continental). Verso le sei del pomeriggio, dopo aver salito 14 tiri di corda e quasi 600mt di parete, arriviamo in prossimità delle cenge dove dovremmo bivaccare ma troviamo un’amara sorpresa: la parte alta della parete è molto bagnata e i camini dove dovremmo uscire oltre ad essere intasati di ghiaccio (come consuetudine), si sono trasformati in vere e proprie cascate d’acqua che cola dall’alto (molto probabilmente la grande quantità di neve caduta nell’ultimo periodo e che si è accumulata sulla cresta del Piergiorgio è un serbatoio ancora bello potente che alimenta tutta l’acqua che ci arriva in testa). Già nella posizione in cui siamo ci ritroviamo sotto la caduta dell’acqua e siamo costretti a metterci i gusci per non ritrovarci bagnati fradici e come se non bastasse la caduta d’acqua è accompagnata a tratti da blocchi di ghiaccio più o meno grandi che si staccano dalle rocce soprastanti. Ci rendiamo subito conto che proseguire in quelle condizioni sarebbe molto problematico oltre che molto pericoloso e quindi decidiamo a malincuore di fare dietrofront e di scendere piuttosto che bivaccare con quelle condizioni. Dopo una serie infinita di doppie raggiungiamo la nostra amata tenda che ormai è mezzanotte. L’indomani però possiamo prendercela con comodo e dopo un’abbondante colazione ripartiamo per un’altra lunga giornata di cammino per rientrare a El Chalten: forse un po’ delusi di non essere arrivati in cima ma comunque consapevoli, e per quanto mi riguarda fieri, di aver vissuto una bellissima avventura verticale su una parete impressionante. Primi tiriSi scala sempre su fessure atletiche (foto: A. Baù)Sempre più su ... (foto: A. Baù)Parete impressionante (foto: A. Baù)Finalmente arriva anche il sole a scaldarci (foto: A. Baù)Ale sulla dura e molto estetica fessura del nono tiroUltimo tiro prima di raggiungere le cenge del bivacco: siamo costretti a mettere le giacche perché già "piove acqua dall'alto!Selfie in parete! (foto: A. Baù)Di ritorno alla tenda a notte fonda (foto A. Baù)La mattina dopo il sole fa di nuovo capolino dietro al PiergiorgioGuado avventuroso del Rio Fitz Roy sulla strada de rientro verso ElChaltenPATAGONIA: CONSIGLI PER L’USOSulla Patagonia si è scritto e i scriverà molto, io qui voglio solo dare qualche consiglio pratico, che deriva dalla mia esperienza personale, a chi magari ha intenzione di recarsi in questi luoghi ed è alla ricerca di informazioni a riguardo.El Chalten visto dalla cima dell'Aguja PoincenotPer arrivare a El Chalten bisogna volare a El Calafate e da qui si prende un bus che in tre orette vi depositerà a destinazione. Tra le diverse compagnie aeree noi abbiamo volato con la LAN-TAM che di default permette di imbarcare 2 bagagli da 32 Kg sui voli internazionali, il che, quando si ha un po’ di materiale alpinistico da trasportare, non è male. A El Chalten ci sono diversi negozi di materiale da montagna ma tenete presente che qualsiasi cosa costa almeno il doppio di quanto la paghereste in Europa (uomo avvisato….). In loco noi abbiamo comprato solo le bombolette di gas e ovviamente cibo (pasti disidratati e barrette ce li siamo portati da casa, lì non si trova gran che). C’è anche la possibilità di noleggiare del materiale in caso di bisogno (noi per esempio abbiamo noleggiato le ciaspole per andare fino al “circo de los altares”). L’alloggio ovviamente dipende dal vostro budget: in generale El Chalten nella stagione estiva è molto cara e i prezzi sono “Europei” se non peggio: considerate in media un 15€ a persona a notte in ostello (di solito in camere con bagni in comune) e qualcosina in più se volete affittarvi una casetta (loro le chiamano cabañas). Detto questo in paese avete tutte le comodità: bar, ristoranti, supermercati e in generale un’ambiente molto “festoso”. Trovate anche la connessione Wi-fi un po' dappertutto (anche se internet è spesso molto lento, soprattutto durante i periodi di grande affluenza turistica), mentre la rete telefonica mobile è praticamente assente (all'entrata del paese trovate però un "locutorio" da cui si possono fare telefonate in tutto il mondo a prezzi economici).Poincenot e Fitz Roy visti da Paso Superior durante una mattina con meteo perfetto!Per quanto riguarda l’arrampicata la “Bibbia” della Patagonia è senza dubbio la guida “Patagonia Vertical” di Rolando Garibotti e compagna che potete ordinare senza problemi online sul sito www.pataclimb.com scrivendogli una mail e pagando via paypal. Sulla guida trovate un sacco di informazioni generali sulle strategie da adottare, sull'ambiente, il clima e come consultare le previsioni meteo sui vari modelli. Riguardo al meteo bisogna però aprire una parentesi. I siti che vanno per la maggiore per consultare le previsioni sono sicuramente quelli del NOA e WINDGURU. Personalmente ho trovato che il sevizio del NOA (meteogram) è stato quello più preciso durante la nostra permanenza. Mi ero anche abbonato al servizio "foercast2phone" menzionato nella guida di Garibotti ma per quanto mi riguarda non ne hanno azzeccata una, quindi sconsiglio di utilizzarlo. Tutte queste previsioni però seguono dei modelli che, dato la complessità del clima della zona possono facilmente sbagliare, quindi è assolutamente impensabile pensare di avere previsioni meteo precise come siamo abituati sulle Alpi. Saper consultare le mappe meteorologiche senz'altro aiuta a capire quanto una previsione sia affidabile o quanto sia incerta, ma questo non tutti lo sanno fare. Lunghi periodi di tempo instabile in Patagonia non sono rari: durante la nostra permanenza molti alpinisti arrivati a fine novembre e ripartiti subito dopo Natale non sono riusciti a scalare assolutamente niente. Intorno a El Chalten ci sono falesie e blocchi dove poter passare le giornate di tempo incerto ma sicuramente non valgono da sole il viaggio fin laggiù.Panorama impagabile su Laguna de los Tres e Lago ViedmaUna volta individuata la finestra di bel tempo la scelta dell’itinerario è il passo successivo. In generale in questi luoghi vige il principio della prudenza: bisogna considerare che qualsiasi via si voglia percorrere richiede almeno una giornata d’avvicinamento e una giornata per il rientro. In alcuni casi questi tempi sono anche raddoppiati (per esempio sulla celeberrima Via dei Ragni sul Cerro Torre). In caso di incidente non ci sono elicotteri che possono venire a prendervi in parete e in generale le finestre di bel tempo non durano più di 3-4 giorni per cui il tempo che un eventuale membro della cordata ci metterebbe a rientrare per dare l’allarme potrebbe facilmente compromettere la possibilità che una squadra di soccorsi possa raggiungere il punto dove si è verificato l’incidente. Avere un telefono satellitare può essere una buona idea per poter ridurre di molto questi tempi ma in ogni caso è imprescindibile conoscere tutte le manovre di autosoccorso in parete e su ghiacciaio e muoversi in cordate di almeno 3 persone è molto consigliabile sia per dividersi i pesi da trasportare, sia per facilitare l’autosoccorso in caso di incidente. Per cui il consiglio è quello di scegliere itinerari tecnicamente alla portata della vostra cordata e in caso di dubbio su itinerari e condizioni farsi consigliare da alpinisti più esperti (o perlomeno con un po' di esperienza di salite in questi luoghi). Oltre al meteo nella scelta dell’itinerario bisogna tenere in considerazione anche le temperature: in Patagonia può fare molto freddo ma può fare anche molto caldo e certi itinerari con temperature elevate possono diventare molto pericolosi.Alba sul ghiacciaio con vista sul lago ViedmaIn genere la strategia adottata da molte cordate è quella di individuare un obiettivo e quindi portare materiale e cibo al campo avanzato in prossimità di tale obiettivo per poi salire leggeri e veloci quando arriva la finestra giusta. Nel nostro caso, non avendo un obiettivo particolare ma decidendo di volta in volta cosa fare, siamo sempre partiti da El Chalten con tutto il materiale e il cibo per la salita: se siete abbastanza snelli e essenziali nelle vostre salite anche così facendo non avrete problemi! Comunque vada, qualsiasi via decidiate di salire qui vi assicuro che sarà una bella avventura e lascerà un ricordo indelebile nella vostra memoria. Buone salite a tutti!Alba sul gruppo del Cerro Torre

Per la fine del 2015 ci siamo riservati il privilegio di un viaggio coi fiocchi: la Patagonia! Viaggio questo sia verticale e alpinistico alla scoperta di questi luoghi tanto lontani quanto famosi ma anche viaggio-vacanza in famiglia dato che tutta la mia famiglia mi ha seguito a El Chalten per un mesetto a cavallo tra dicembre 2015 e gennaio 2016!
Autore: Francesco Ratti 25 apr, 2018
In questo inizio di stagione con temperature calde e condizioni particolarmente secche approfittiamo di una delle poche goulottes delle Alpi in condizioni per andare a grattare un po' di ghiaccio e misto con le nostre picche!Siamo io, Teto e Emrik, partiamo con la prima benna da Courmayeur e scendiamo il più rapidamente possibile con gli sci fino al rifugio del Requin. Da lì mettiamo le pelli e saliamo in direzione della brèche ovest del Col du Requin. Arrivati all'attacco esitiamo un po' tra la Sorenson-Eastman e Ice is Nice ma alla fine optiamo per quest'ultima perchè la prima ci sembrava un po' troppo "magra". Scaliamo divertendoci fino alla fine delle difficoltà, ci caliamo senza arrivare alla brèche nella speranza di pendere l'ultimo trenino in discesa dai Montenvers verso Chamonix. Manco a dirlo arriviamo con 10  minuti di ritardo e siamo costretti a una lunga "ravanata" lungo il sentiero e pendii di neve nei boschi fino al paese, dove il provvidenziale Jerome ci darà un passaggio fino a Courmayeur. Super giornata in super compagnia!In discesa verso la goulotte Salendo verso l'attaccoSui primi pediiTraverso...All right!!Prime difficoltàTeto è ottimista!Ambiente!Verso la brècheDiscesa infinita verso Chamonix
Autore: Francesco Ratti 04 dic, 2017
Eccoci qui di ritorno dalla nostra spedizione sulle montagne cinesi con tante cose che meritano di essere raccontate ma soprattutto con un’esperienza che ha cambiato ognuno di noi, e questa forse è la cosa più importante. Io penso che le esperienze intense vissute in montagna servano a farci capire ogni volta sempre un po’ di più chi siamo e che cosa conta veramente…. Per questo continuo ad andare in montagna alla ricerca di esperienze per me nuove e inesplorate, non basta continuare a rivivere quello che già si conosce…..Nonostante tutto.Ma torniamo alla spedizione. L’idea di andare in Cina era nata più di un anno fa quando io e François avevamo deciso di fare qualcosa insieme nell’autunno 2017. L’idea che avevamo era quella di partire per qualcosa di “easy”, senza troppe pretese ma con la voglia di aprire qualche via nuova in un posto remoto. Dopo aver valutato diverse possibili destinazioni, l’amico Martin Elias mi parlò del Sichuan, regione della Cina dalle infinite possibilità per un alpinismo di esplorazione alla scoperta di terreni selvaggi e totalmente inesplorati. Mi consigliò di consultare il libro di un alpinista/esploratore giapponese, un tal Nakamura. Dopo aver “googolizzato” il nome Nakamura in tutte le sue declinazioni riuscii a risalire al titolo del libro e alla casa editrice giapponese che lo aveva pubblicato. Un paio di e-mail e carta di credito alla mano riuscii a ordinare il libro, incredibile il potere dell’e-commerce! Una volta ricevuto il libo e dopo avergli dato una rapida sfogliata ormai non c’erano più dubbi: dovevamo andare in Sichuan! Stavamo però parlando di una regione della Cina grande come l’Europa e nel suo interno ci sono molti massicci montuosi: la scelta della nostra destinazione finale era tutt’altro che definita!!Nel frattempo bisognava anche formare una squadra: il gruppo fa la forza in regioni remote, sia dal punto logistico che economico e in due eravamo decisamente troppo pochi. Non ci volle molto a convincere Emrik: appena François gli parlò della cosa ne fu subito entusiasta. Eravamo già in 3. Però comunque un po’ pochi. Ognuno di noi cercò di trovare possibili candidati interessati alla cosa ma per un po’ non trovammo riscontri positivi. Finchè non saltò fuori un vecchio amico di Emrik: Tomas Franchini. Tomas è una guida e un forte alpinista trentino, pensammo subito che era un buon acquisto e non esitammo a includerlo nel gruppo. Poi altri due amici di Tomas si aggregarono: Matteo Faletti e Bicio Dellai. Noi non conoscevamo né Matteo né Bicio ma pensammo che se Tomas voleva partire con loro potevamo fidarci e poi comunque avremmo comunque fatto due squadre abbastanza indipendenti. Anche la squadra era ormai al completo!!Quello che seguì potrebbe essere definito come una sorta di “caos organizzato”, e cioè: scelta del massiccio obiettivo della spedizione, scelta dell’agenzia su cui appoggiarsi per la logistica e soprattutto procedure burocratiche per fare i visti per poter stare in Cina per più di 30 giorni (che è la durata massima del visto turistico standard per la Cina)…..Alla fine, non so ancora bene come, riuscimmo a districarci in tutto ciò definendo come obiettivo il Monte Edgar (una magnifica montagna alta 6.618mt), appoggiandoci al sig. Liu Feng (detto Leo, noto boss del Sichuan Alpin Club) per la logistica e ricevendo miracolosamente i visti sui passaporti un paio di giorni prima della data della partenza. Ancora incredulo mi ritrovai imbarcato sul volo per Chengdu (la capitale del Sichuan) in compagnia dei miei compagni d’avventura. Avventura con la A maiuscola perché sapevamo bene che al di là dell’Edgar ci saremmo trovati in un’area molto poco esplorata e che tutte le montagne intorno a noi sarebbero state le probabili candidate per una prima ascensione!Arrivati a Chengdu ci troviamo subito immersi nel caos di una metropoli da 12 milioni di abitanti. Leo ci scorta gentilmente all’albergo da lui prenotato e la prima sera la passiamo a discuter i dettagli logistico-economici della spedizione e a brindare al nostro arrivo in Cina. Oltre a Leo facciamo conoscenza con Donald, che sarà il nostro interprete per tutta la spedizione (in Cina le persone che parlano inglese sono rarissime), con Zhang, che da quello che ci dicono è il capo del Sichuan Alpine Club e con Schock che sarà il nostro cuoco, responsabile logistico al campo base nonché “liason officer”.Il giorno seguente io lo passerò all’aeroporto per recuperare un collo che avevamo spedito dall’Italia con all’interno buona parte del nostro materiale da alpinismo, mentre gli altri ragazzi saranno scortati dal buon Donald a fare tutti gli acquisti necessari per un mese di sopravvivenza al campo base. La sera partiamo alla ricerca di un ristorante occidentale in quanto dopo due pasti e una colazione ci sentiamo già abbastanza saturi di cucina cinese (per lo meno io François e Emrik, i trentini invece sembrano sopportare meglio le spezie cinesi, soprattutto Tomas ne è entusiasta…forse perché non gli hanno ancora fatto provare cosa intendono loro per “piccante”!). Alla fine finiamo a mangiare pizza in un Pizza Hut, e riusciamo ad addormentarci senza aver violentato le papille gustative. La mattina seguente ci alziamo presto per partire alla volta di Moxi Town, l’ultima cittadina prima della “Nanmenganggou Valley”, la valle che dovremo risalire per posizionare il nostro campo base ai piedi dell’Edgar. Dopo 6 ore di macchina arriviamo a destinazione, in una ridente località di montagna cinese (con influenze tibetane) che ci offre ancora tutti i confort prima di abbandonare la civiltà e salire finalmente in montagna. Dormiamo in un ostello in un villaggio pochi chilometri a nord di Moxi Town e la serata la passiamo a mangiare ancora cibo maledettamente cinese e a dividere tutti i carichi per i portatori. Finalmente dopo una breve notte di riposo ci ritroviamo in cima della strada poderale che segna l’inizio della valle che dovremo risalire per posizionare il nostro campo base: Leo e Zhang ci salutano con un sorriso a 32 denti e un vigoroso “good luck”, mentre Schock e Donald saliranno con noi al campo base. Il gruppo dei nostri portatori è abbastanza eterogeneo: si va dai giovanotti in giubbotto e jeans a quelli più anziani con stile decisamente più “contadino”, non manca neanche qualche donna che evidentemente non ha paura di farsi una bella sgambata di un paio di giorni con 20kg sulle spalle. Il ritmo di salita è decisamente lento ma è chiaro che non possiamo pretendere di più dato i pesi che stiamo trasportando e il terreno sconnesso: risaliamo infatti sul bordo del grosso fiume che ha formato la valle, camminando su sassi di tutte le dimensioni spesso ricoperti da muschio più o meno viscido, insomma non esattamente il tipico sentiero escursionistico a cui siamo abituati sulle nostre alpi! Verso le 16 arriviamo ad una zona di confluenza di due fiumi dei quali noi dovremo seguire quello che risale la valle di sinistra e che ci porterà ai piedi del monte Edgar. Schock decide che questo è il punto dove dovremo accamparci per la notte e abbiamo giusto il tempo per posare i nostri zaini prima di essere investiti da una fitta nebbia carichissima di umidità: nel giro di 5 minuti le nostre giacche in gore-tex grondano già d’acqua e ci affrettiamo a farci una piazzuola e a montare la nostra tenda per la notte, mentre i portatori si costruiscono un riparo di fortuna tra gli alberi (basicamente qualche telo per ripararsi dall’umidità sotto i quali accendere dei fuochi per riscaldarsi). Dopo una cena frugale a base di riso e qualche verdura riscaldati (già preparati in precedenza dal buon Schock), decidiamo di obbligare tutto il gruppo a partire presto il giorno dopo dato che le previsioni meteo sembrano buone per il mattino ma con peggioramenti nel pomeriggio: negoziamo una sveglia verso le 6. Il giorno dopo quindi partiamo presto e i portatori si avviano diligentemente risalendo il fiume di sinistra come previsto: Schock ci assicura che in 4 orette arriveremo al posto designato per il campo base (Schock era già stato nella valle anni addietro con una spedizione russa e la sua idea era posizionare il nostro campo base dove l’avevano messo i Russi). Dopo poco più di un’ora di cammino però, i portatori abbandonano il letto del fiume e tagliano nella vegetazione fitta fino a raggiungere una radura nella piana alla base della morena del ghiacciaio: quello è il posto dove vorrebbero farci piazzare il campo base. Noi però sappiamo bene che ci troviamo troppo bassi e che abbiamo bisogno di salire di più per poter ridurre gli avvicinamenti ai campi alti: François e Emrik si avviano quindi alla ricerca di un posto più idoneo per il nostro campo base mentre io e gli altri cominciamo a “litigare” coi portatori per convincerli a salire più in alto e soprattutto per evitare che abbandonino lì il loro carico e comincino a scendere a valle! Dopo un tempo che ci sembra infinito François ci annuncia per radio di aver trovato un posto buono sulla sinistra orografica del ghiacciaio: in qualche modo riusciamo a convincere i portatori a proseguire e a mezzogiorno circa ci troviamo tutti sulla radura che sarà la nostra casa per i prossimi 30 giorni, a quota 3.850mt con una magnifica vista sul monte Edgar e sulla valle sottostante immersa nella nebbia. Solo successivamente ci renderemo conto di quanto una giornata di sole sia rara al campo base e della fortuna che abbiamo avuto nell’avere quella vista quel giorno! Montiamo le tende e terminiamo la giornata gustando il primo pasto a base di verdure e riso preparato da Schock al campo base.I portatori e i loro carichiRisalendo il grande fiumeLa valle da noi risalitaQuasi al campo baseLe nebbie che non ci hanno mai abbandonatoDato che le previsioni meteo ci annunciavano una giornata di bel tempo seguita da 2/3 giorni di tempo instabile decidiamo di approfittare subito della giornata di bel tempo per fare una salita di acclimatamento in giornata. Io, François e Emrik decidiamo di salire ad una cima dietro al campo base per una cresta che a prima vista ci sembra abbastanza semplice e ideale come primo approccio alla spedizione, mentre il team trentino decide di puntare ad un colle sul versante opposto della valle, alla base della cresta est dell’Edgar per poi eventualmente salire ad una cima adiacente tale colle. La mattina partiamo tutti nella nebbia fitta, il sole del giorno prima è solo un pallido ricordo ma decidiamo comunque di continuare verso il nostro obiettivo fiduciosi nelle previsioni meteo. La nostra perseveranza sarà premiata perché poco sopra i 4.000mt usciamo dalla nebbia e ci troviamo con una giornata di sole perfetta. La cresta da noi scelta si rivela comunque non banale: terreno sì classico ma pur sempre impegnativo, con passaggi di roccia fino al V° grado. Ad un inizio su rocce coperte da lichene e cenge erbose segue una parte su roccia più compatta fino ad arrivare sull’anticima da cui siamo obbligati a fare una doppia di 50mt per poter proseguire. La doppia ci porta ad una forcella da dove attraversiamo per prendere un canale dove la roccia diventa decisamente più friabile ma ormai pochi metri ci separano da questa prima vetta della nostra avventura: sono le due del pomeriggio quando ci abbracciamo felici sulla punta ad una quota che supera di poco i 5.000mt. Per la discesa ci lasciamo guidare dall’istinto attraverso i vari canali che solcano la montagna e dopo qualche ora rientriamo al campo base dove Schock e Donald ci stanno aspettando con il solito riso e le proverbiali verdure! Anche i nostri amici trentini arrivano più o meno alla stessa ora e passiamo la cena a raccontarci a vicenda le salite della giornata. Noi decidiamo di dedicare la cima che abbiamo scalato a Joel, un amico scomparso sul cervino un anno fa, mentre i trentini ci raccontano di aver aperto una via sulla cima che chiameranno “Little Edgar”: come prima giornata non c’è proprio male!Salendo alla Punta Deanoz, una volta usciti dalla nebbia l'Edgar svetta imponenteIl monte EdgarSulla nostra via "Welcome to the Jungle"Il campo baseLe tende che sono state la nostra casa per un meseL'Edgar al tramontoIl gruppo del Melcyr ShanI tre giorni successivi come previsto ci riservano un meteo poco incoraggiante: tante nubi e precipitazioni, al campo base regna la solita nebbia che, pioggia o non pioggia, non ci consente di stare fuori dalle tende per più di 5 minuti senza ritrovarci ricoperti di umidità da capo a piede. Nonostante il tempo cerchiamo lo stesso di spingerci in una ricognizione verso l’enorme ghiacciaio ai piedi della parete nord dell’Edgar: qui il ghiacciaio è interrotto da un’enorme seraccata alta quasi 1.000mt che dobbiamo assolutamente riuscire a superare per poter accedere al plateau superiore che rappresenta la chiave di accesso per la parete ovest dell’Edgar. Ci rendiamo subito conto che ci aspetta un lavoro non da poco e che probabilmente alcuni passaggi ci obbligheranno ad esporci ai pericolosi seracchi ma decidiamo comunque di provarci, alla prima finestra di bel tempo. La finestra non tarda ad arrivare: dopo tre giorni di brutto tempo le previsioni ci annunciano almeno 3 giorni di tempo stabile. Decidiamo di unire tutte le nostre forze e partiamo tutti e sei alla volta dell’immensa seraccata, questa volta con l’obiettivo di superarla e di attrezzare un passaggio sicuro per poter raggiungere agevolmente il campo che vorremmo piazzare sul plateau a quota 5.200mt. Manco a dirlo la giornata risulta davvero dura: come pensavamo la nostra via di accesso passerà sulla sinistra orografica del ghiacciaio e attrezzeremo la prima parte su seracchi con passaggi strapiombanti e la parte alta sulla barra rocciosa che ci impegnerà tecnicamente fino a dover utilizzare le scarpette per passare! Comunque dopo 12 ore di lotta riusciamo a piazzare il nostro campo sul bordo dell’immenso plateau glaciale circondato da giganti come l’Edgar, il Grosvenor e la catena che li unisce come una grande corona, davvero uno spettacolo imponente! Decidiamo di chiamare questo il “Campo degli Italiani” e ci prepariamo per passare la nostra prima notte di acclimatamento a 5.200mt. Il giorno dopo saliamo fino al colle alla base della cresta sud-ovest dell’Edgar (salita dai coreani nel 2003) continuando nell’acclimatamento fino a quota 6.000mt. François, Emrik e Tomas arrivati al colle decidono di continuare sul pendio soprastante con l’idea di raggiungere un buon punto di vista per osservare le condizioni delle creste della montagna. Raggiungono la dorsale che sovrasta il colle a 6.200mt e si rendono conto di essere su una cima a se stante che chiameranno Twenty Shan, in onore a loro ventenni! Io, Bicio e Matteo intanto abbiamo già cominciato la discesa e li aspetteremo al Campo degli Italiani preparando il thè caldo. Per completare questa fase di acclimatamento decidiamo di passare un’altra notte in questo campo alto e di ridiscendere l’indomani al campo base. Durante la notte Tomas non riesce a dormire e, come ci ha poi raccontato, sentiva la Ovest dell’Edgar che lo chiamava e così a mezzanotte, da solo, decide di partire verso la parete illuminata dalla luna piena. Tomas sale da solo la parete Ovest in perfette condizioni e sbuca in cima all’Edgar poco dopo le 6 di mattina! Davvero una performance degna dei migliori alpinisti al mondo considerando anche il poco acclimatamento e le giornate precedenti dove non abbiamo proprio passeggiato! Noi lo aspettiamo al campo base dove festeggiamo con lui il suo exploit prima di cominciare la discesa verso il campo base che ci impegnerà comunque per più di 5 ore.Salendo verso la seraccata che dovremo superareCercando una via tra i seracchi...Ambiente severoAttraversando il plateau sotto la Ovest dell'EdgarIn salita verso il colle a 6000mtCerchiamo la via tra i crepacci, l'Edgar ci osserva silenziosoFrançois, Emrik e Tomas salgono verso il Twenty ShanIn discesa verso il campo baseDopo la finestra di tempo perfetto (sia per temperatura che per assenza di vento) che ha permesso a Tomas di salire la parete Ovest in quello stile, il meteo comincia a cambiare: si alternano giornate di tempo buono ad altre decisamente brutte ma mantenendo sempre una certa instabilità e soprattutto sempre con vento forte in quota. Decidiamo allora di dedicarci a esplorare le cime intorno al nostro campo base, in zone il più riparate possibile dal vento e a quote più modeste. Io, François e Emrik apriamo una bella via di roccia fino al 6b su un magnifico pilastro alto quasi 5.000mt che decidiamo di dedicare a Gerard, amico e presidente della nostra Società Guide tragicamente scomparso sul Cervino l’anno scorso (insieme a Joel). Poi durante i giorni successivi saliamo sul ghiacciaio al di sopra del Pilier Gerard Ottavio (così abbiamo chiamato il pilastro dedicato a Gerard) e andiamo a esplorare il bacino del cosiddetto Melcyr Shan. Scopriamo che oltre al già conosciuto Melcyr Shan appunto, la zona offre molte possibilità per vie nuove su bellissime cime. Nasce così la “Cresta delle 3 Sorelle”, una stupenda cavalcata realizzata in 3 giorni da me, Emrik e François su una cresta molto affilata e mai banale con ben 3 punte che sfiorano i 6.000mt. Il terreno qui è sempre il misto di alta montagna con alternanza di progressione in conserva a quella con tiri di corda. Dopo questa traversata Emrik decide di rientrare al campo base per problemi di freddo ai piedi, mentre io e François cerchiamo di sfruttare l’ultimo giorno di tempo decente per esplorare un’altra cima di questo stupendo bacino glaciale : questa salita si rivelerà più corta rispetto alla traversata delle 3 sorelle ma decisamente più tecnica, saremo infatti costretti a fare tiri di corda con difficoltà fino al 6a per poter arrivare in cima a quello che chiameremo il “Vallée Shan”, a poco più di 5.600mt. Ci sentiamo davvero appagati per le salite che abbiamo fatto in questa zona della valle e decidiamo di rientrare al campo base nella speranza di avere un’occasione per poter ritornare sull’Edgar. Nel frattempo anche i nostri amici Trentini rientrano al campo base dopo aver esplorato una valle adiacente alla nostra ed essere saliti di nuovo al Campo degli Italiani da dove sono saliti verso il Jiazi Feng, un seimila per lo più nevoso a fianco del Grosvenor.Il Piler Gerard Ottavio, una sentinella imponente sulla valleL'Edgar ci guarda sempre imponenteNebbie sempre sotto di noi ma mai troppo lontaneSalendo verso la cresta delle 3 sorelleSalendo verso la cresta delle 3 sorellePrimi tiri della cresta delle 3 sorelleSelfie sulla Punta BarbaraCresta delle 3 sorelleCresta delle 3 sorelleIl gruppo delle 3 sorelle all'albaSul ghiacciaio verso il Vallée ShanSulla cresta del Vallée ShanSui primi tiri del Vallée ShanIl colle alla base del Vallée Shan, sullo sfondo l'EdgarSoste....E creste!Siamo ormai a metà ottobre e le temperature cominciano a cambiare, al campo base si cominciano a vedere le prime nevicate e finalmente il nostro amico metereologo ci annuncia una finestra degna di un tentativo all’Edgar. I nostri due team si dividono quindi in base agli obiettivi che ci eravamo prefissati: i trentini partono alla volta della cresta sud-est mentre noi saliamo al Campo degli Italiani per tentare la cresta Nord-Ovest. Gli amici trentini al secondo giorno di salita decideranno di ritirarsi a quota 5.800mt per problemi legati alle difficoltà e alla pericolosità della salita (roccia friabile e scariche di neve e pietre). Noi invece dopo una notte al Campo degli Italiani attacchiamo decisi la cresta nord-ovest. Dopo una prima parte su terreno misto non troppo impegnativo, la cresta ci impegna a fondo obbligandoci a procedere con tiri di corda e difficoltà fino all’M5. Anche il vento soffia abbastanza forte, probabilmente sui 50-60 Km/h. Continuiamo decisi e siamo tutti ottimisti. Arriviamo al punto dove avevamo previsto di doverci spostare sulla parete nord: con grande sorpresa troviamo qui ottime condizioni e con uno stupendo tiro su ghiaccio quasi verticale sbuchiamo in cima al penultimo pilastro della nostra cresta a quota 6.450mt. Da qui dovremmo solo superare l’ultimo risalto e attraversare al di sopra della parete Ovest per raggiungere la cima. Con altrettanta nostra grande sorpresa però, ci troviamo qui alle prese con cornici quasi strapiombanti di neve inconsistente. Con grande rammarico siamo costretti a constatare che continuare per la cima comporterebbe dei rischi troppo grossi e decidiamo per la ritirata. Dopo una discesa infinita (più di 1.000mt e circa 25 doppie attrezzate con chiodi, nut spuntoni e soprattutto abalakov) raggiungiamo esausti la nostra tenda al Campo degli Italiani dove sprofondiamo nei nostri sacchi a pelo. Rientrati al campo base ci rendiamo conto di quanto vicini eravamo alla cima e alla conclusione della salita ma nonostante il rammarico pensiamo aver fatto la scelta giusta. Decidiamo comunque di chiamare il pilastro dove siamo arrivati “Pilier de l’Espoir”, nella speranza di poter tornare un giorno a completare la salita (noi o chissà, magari qualcun altro!).Il nostro cuoco all'operaIl campo base in uno dei rari momenti privi di nebbiaL'Edgar visto dal campo baseOsservando la nostra via dal plateauPrimi tiri della cresta nord-ovest dell'EdgarLungo la cresta nord-ovest dell'EdgarLungo la cresta nord-ovest dell'EdgarIn ritirata dopo aver raggiunto la cima del "Pilier de l'Espoir"Manca orai una settimana al nostro rientro in Italia, un’altra perturbazione ci investe e questa volta al campo base abbiamo 40cm di neve. Il tutto sembra lasciare poche possibilità per un ultimo tentativo sulla montagna, però dal meteo ci arriva una luce di speranza: ci saranno un paio di giorni di tempo stabile, anche se con vento sempre abbastanza forte. Decidiamo tutti insieme di fare nonostante tutto un ultimo tentativo. Saliamo al campo degli Italiani tracciando nella neve fresca che a tratti ci arriva fino al ginocchio. Arrivati al campo nel tardo pomeriggio tira un vento degno della Patagonia più selvaggia! Mentre noi installiamo il campo, François e Tomas partono per una ricognizione sul ghiacciaio e tornano con notizie poco rassicuranti: accumuli di neve e traccia tutta da fare! Dal meteo ci arriva la conferma che il vento dovrebbe calare la mattina seguente per poi tornare a rinforzare nel pomeriggio. L’idea iniziale era quella di dividerci in due team per attaccare due goulottes parallele sul versante ovest della montagna per sbucare sulla cresta aperta dai Coreani nel 2003 e da lì proseguire fino alla cima. Date le condizioni poco favorevoli modifichiamo i piani in modo da massimizzare le possibilità di arrivare in vetta: uno dei due team cercherà di salire la goulotte più evidente, mentre l’altro salirà lungo la cresta dei coreani per fare la traccia e darci la possibilità di raggiungere la cima il più velocemente possibile, consapevoli che la finestra di vento non troppo forte sarà breve e dovremo sfruttarla al massimo. Parliamo tra di noi per decidere come dividere le squadre. François e Tomas vogliono provare la goulotte mentre Emrik e Bicio vogliono salire la via coreana. A me piacerebbe salire con Tomas e François ma anche l’amico Matteo vuole andare con loro. Mi rendo subito conto che lasciare Emrik da solo con Bicio sarebbe improponibile, avrebbe significato per Emirk dover tracciare tutta la via da solo. Quindi, grazie all’impreparazione fisica di Bicio la mia scelta è obbligata: dovrò andare sulla via Coreana. Alla fine mi metto il cuore in pace dicendomi che comunque come prima esperienza a quelle quote non potevo neanche avere grosse pretese. Resta comunque un po’ di amarezza per aver dovuto fare una scelta dettata dall’impreparazione di una persone che probabilmente non avrebbe neanche dovuto partecipare ad una spedizione d questo livello. Ma torniamo ai fatti: passiamo una notte decisamente movimentata: il vento invece di mollare si fa sempre più intenso, tanto che ci ritroviamo con la tenda letteralmente schiacciata sulla faccia! Nessuno di noi riesce a dormire e alle due di notte constatiamo che la situazione non è affatto cambiata, sappiamo che così è impossibile salire e decidiamo di rimandare la partenza nella speranza che il vento cali. Incredibilmente verso le tre ci sembra che l’inferno si stia calmando e, anche se poco fiduciosi, io, Bicio e Emrik partiamo alla volta della via Coreana. François, Tomas e Matteo ci seguono partendo una mezz’oretta più tardi, sfruttando la nostra traccia per poi puntare alla goulotte. Continuiamo a salire e il vento incredibilmente si placa. Superiamo la seraccata e il ripido pendio che ci porta in cresta: mi metto la maschera per scaramanzia ma il vento è incredibilmente sopportabile. Intanto François, Tomas e Matteo sulla goulotte stanno trovando anche loro condizioni ottimali: pendii di neve compatta alternati a tiri di ottimo ghiaccio e sbucano sulla cresta Coreana quando noi stiamo attaccando l’ultimo pendio che ci porterà in cima. Come in una favola dal lieto fine, nel primo pomeriggio ci ritroviamo tutti ad abbracciarci in cima al monte Edgar, a quota 6.618mt. Tomas, François e Matteo chiameranno la goulotte da loro aperta “Colpo Finale”. Per gli amanti delle statistiche la nostra è stata la terza spedizione in assoluto a riuscire a raggiungere la vetta del mote Edgar (Tomas in solitaria ha firmato la terza salita assoluta della montagna mentre per noi è stata la quarta…Tomas di fatto è l’unica persona al mondo ad essere salito due volte in cima all’Edgar!!). Neve al campo base!Il paesaggio diventa invernaleSelfie nevosoIn salita lungo la via Coreana: ambiente grandioso!In salita lungo la via Coreana: ambiente grandioso!In salita lungo la via Coreana: ambiente grandioso!In salita lungo la via Coreana: ambiente grandioso!Ultimi metri per raggiungere la cima dell'EdgarCumbre!! 6.618mtDi ritorno al campo degli italianiIn realtà la cosa che davvero conta è che abbiamo passato un mese su montagne magnifiche a esplorare una natura selvaggia che ci ha insegnato tanto e che ha lasciato qualcosa di indelebile in ognuno di noi….Come poi scriveremo tutti insieme al campo base prima di tornare alle nostre vite di tutti i giorni: “…..Abbiamo trascorso un’esperienza fantastica, in una valle "tutta per noi" una vera avventura tra montagne inesplorate… abbiamo scalato e scoperto un nuovo angolo di mondo, siamo riusciti a scalare il Monte Edgar, una montagna complicata, difficile e pericolosa da tutti i suoi versanti…siamo stati assieme per 40 giorni tra di noi e la natura, più di così non potevamo chiedere!”Ultimo giorno al campo baseQUI DI SEGUITO GLI SCHIZZI DELLE VIE DA NOI APERTE:
Autore: Francesco Ratti 04 dic, 2017
Eccoci qui di ritorno dalla nostra spedizione sulle montagne cinesi con tante cose che meritano di essere raccontate ma soprattutto con un’esperienza che ha cambiato ognuno di noi, e questa forse è la cosa più importante. Io penso che le esperienze intense vissute in montagna servano a farci capire ogni volta sempre un po’ di più chi siamo e che cosa conta veramente…. Per questo continuo ad andare in montagna alla ricerca di esperienze per me nuove e inesplorate, non basta continuare a rivivere quello che già si conosce…..Nonostante tutto.Ma torniamo alla spedizione. L’idea di andare in Cina era nata più di un anno fa quando io e François avevamo deciso di fare qualcosa insieme nell’autunno 2017. L’idea che avevamo era quella di partire per qualcosa di “easy”, senza troppe pretese ma con la voglia di aprire qualche via nuova in un posto remoto. Dopo aver valutato diverse possibili destinazioni, l’amico Martin Elias mi parlò del Sichuan, regione della Cina dalle infinite possibilità per un alpinismo di esplorazione alla scoperta di terreni selvaggi e totalmente inesplorati. Mi consigliò di consultare il libro di un alpinista/esploratore giapponese, un tal Nakamura. Dopo aver “googolizzato” il nome Nakamura in tutte le sue declinazioni riuscii a risalire al titolo del libro e alla casa editrice giapponese che lo aveva pubblicato. Un paio di e-mail e carta di credito alla mano riuscii a ordinare il libro, incredibile il potere dell’e-commerce! Una volta ricevuto il libo e dopo avergli dato una rapida sfogliata ormai non c’erano più dubbi: dovevamo andare in Sichuan! Stavamo però parlando di una regione della Cina grande come l’Europa e nel suo interno ci sono molti massicci montuosi: la scelta della nostra destinazione finale era tutt’altro che definita!!Nel frattempo bisognava anche formare una squadra: il gruppo fa la forza in regioni remote, sia dal punto logistico che economico e in due eravamo decisamente troppo pochi. Non ci volle molto a convincere Emrik: appena François gli parlò della cosa ne fu subito entusiasta. Eravamo già in 3. Però comunque un po’ pochi. Ognuno di noi cercò di trovare possibili candidati interessati alla cosa ma per un po’ non trovammo riscontri positivi. Finchè non saltò fuori un vecchio amico di Emrik: Tomas Franchini. Tomas è una guida e un forte alpinista trentino, pensammo subito che era un buon acquisto e non esitammo a includerlo nel gruppo. Poi altri due amici di Tomas si aggregarono: Matteo Faletti e Bicio Dellai. Noi non conoscevamo né Matteo né Bicio ma pensammo che se Tomas voleva partire con loro potevamo fidarci e poi comunque avremmo comunque fatto due squadre abbastanza indipendenti. Anche la squadra era ormai al completo!!Quello che seguì potrebbe essere definito come una sorta di “caos organizzato”, e cioè: scelta del massiccio obiettivo della spedizione, scelta dell’agenzia su cui appoggiarsi per la logistica e soprattutto procedure burocratiche per fare i visti per poter stare in Cina per più di 30 giorni (che è la durata massima del visto turistico standard per la Cina)…..Alla fine, non so ancora bene come, riuscimmo a districarci in tutto ciò definendo come obiettivo il Monte Edgar (una magnifica montagna alta 6.618mt), appoggiandoci al sig. Liu Feng (detto Leo, noto boss del Sichuan Alpin Club) per la logistica e ricevendo miracolosamente i visti sui passaporti un paio di giorni prima della data della partenza. Ancora incredulo mi ritrovai imbarcato sul volo per Chengdu (la capitale del Sichuan) in compagnia dei miei compagni d’avventura. Avventura con la A maiuscola perché sapevamo bene che al di là dell’Edgar ci saremmo trovati in un’area molto poco esplorata e che tutte le montagne intorno a noi sarebbero state le probabili candidate per una prima ascensione!Arrivati a Chengdu ci troviamo subito immersi nel caos di una metropoli da 12 milioni di abitanti. Leo ci scorta gentilmente all’albergo da lui prenotato e la prima sera la passiamo a discuter i dettagli logistico-economici della spedizione e a brindare al nostro arrivo in Cina. Oltre a Leo facciamo conoscenza con Donald, che sarà il nostro interprete per tutta la spedizione (in Cina le persone che parlano inglese sono rarissime), con Zhang, che da quello che ci dicono è il capo del Sichuan Alpine Club e con Schock che sarà il nostro cuoco, responsabile logistico al campo base nonché “liason officer”.Il giorno seguente io lo passerò all’aeroporto per recuperare un collo che avevamo spedito dall’Italia con all’interno buona parte del nostro materiale da alpinismo, mentre gli altri ragazzi saranno scortati dal buon Donald a fare tutti gli acquisti necessari per un mese di sopravvivenza al campo base. La sera partiamo alla ricerca di un ristorante occidentale in quanto dopo due pasti e una colazione ci sentiamo già abbastanza saturi di cucina cinese (per lo meno io François e Emrik, i trentini invece sembrano sopportare meglio le spezie cinesi, soprattutto Tomas ne è entusiasta…forse perché non gli hanno ancora fatto provare cosa intendono loro per “piccante”!). Alla fine finiamo a mangiare pizza in un Pizza Hut, e riusciamo ad addormentarci senza aver violentato le papille gustative. La mattina seguente ci alziamo presto per partire alla volta di Moxi Town, l’ultima cittadina prima della “Nanmenganggou Valley”, la valle che dovremo risalire per posizionare il nostro campo base ai piedi dell’Edgar. Dopo 6 ore di macchina arriviamo a destinazione, in una ridente località di montagna cinese (con influenze tibetane) che ci offre ancora tutti i confort prima di abbandonare la civiltà e salire finalmente in montagna. Dormiamo in un ostello in un villaggio pochi chilometri a nord di Moxi Town e la serata la passiamo a mangiare ancora cibo maledettamente cinese e a dividere tutti i carichi per i portatori. Finalmente dopo una breve notte di riposo ci ritroviamo in cima della strada poderale che segna l’inizio della valle che dovremo risalire per posizionare il nostro campo base: Leo e Zhang ci salutano con un sorriso a 32 denti e un vigoroso “good luck”, mentre Schock e Donald saliranno con noi al campo base. Il gruppo dei nostri portatori è abbastanza eterogeneo: si va dai giovanotti in giubbotto e jeans a quelli più anziani con stile decisamente più “contadino”, non manca neanche qualche donna che evidentemente non ha paura di farsi una bella sgambata di un paio di giorni con 20kg sulle spalle. Il ritmo di salita è decisamente lento ma è chiaro che non possiamo pretendere di più dato i pesi che stiamo trasportando e il terreno sconnesso: risaliamo infatti sul bordo del grosso fiume che ha formato la valle, camminando su sassi di tutte le dimensioni spesso ricoperti da muschio più o meno viscido, insomma non esattamente il tipico sentiero escursionistico a cui siamo abituati sulle nostre alpi! Verso le 16 arriviamo ad una zona di confluenza di due fiumi dei quali noi dovremo seguire quello che risale la valle di sinistra e che ci porterà ai piedi del monte Edgar. Schock decide che questo è il punto dove dovremo accamparci per la notte e abbiamo giusto il tempo per posare i nostri zaini prima di essere investiti da una fitta nebbia carichissima di umidità: nel giro di 5 minuti le nostre giacche in gore-tex grondano già d’acqua e ci affrettiamo a farci una piazzuola e a montare la nostra tenda per la notte, mentre i portatori si costruiscono un riparo di fortuna tra gli alberi (basicamente qualche telo per ripararsi dall’umidità sotto i quali accendere dei fuochi per riscaldarsi). Dopo una cena frugale a base di riso e qualche verdura riscaldati (già preparati in precedenza dal buon Schock), decidiamo di obbligare tutto il gruppo a partire presto il giorno dopo dato che le previsioni meteo sembrano buone per il mattino ma con peggioramenti nel pomeriggio: negoziamo una sveglia verso le 6. Il giorno dopo quindi partiamo presto e i portatori si avviano diligentemente risalendo il fiume di sinistra come previsto: Schock ci assicura che in 4 orette arriveremo al posto designato per il campo base (Schock era già stato nella valle anni addietro con una spedizione russa e la sua idea era posizionare il nostro campo base dove l’avevano messo i Russi). Dopo poco più di un’ora di cammino però, i portatori abbandonano il letto del fiume e tagliano nella vegetazione fitta fino a raggiungere una radura nella piana alla base della morena del ghiacciaio: quello è il posto dove vorrebbero farci piazzare il campo base. Noi però sappiamo bene che ci troviamo troppo bassi e che abbiamo bisogno di salire di più per poter ridurre gli avvicinamenti ai campi alti: François e Emrik si avviano quindi alla ricerca di un posto più idoneo per il nostro campo base mentre io e gli altri cominciamo a “litigare” coi portatori per convincerli a salire più in alto e soprattutto per evitare che abbandonino lì il loro carico e comincino a scendere a valle! Dopo un tempo che ci sembra infinito François ci annuncia per radio di aver trovato un posto buono sulla sinistra orografica del ghiacciaio: in qualche modo riusciamo a convincere i portatori a proseguire e a mezzogiorno circa ci troviamo tutti sulla radura che sarà la nostra casa per i prossimi 30 giorni, a quota 3.850mt con una magnifica vista sul monte Edgar e sulla valle sottostante immersa nella nebbia. Solo successivamente ci renderemo conto di quanto una giornata di sole sia rara al campo base e della fortuna che abbiamo avuto nell’avere quella vista quel giorno! Montiamo le tende e terminiamo la giornata gustando il primo pasto a base di verdure e riso preparato da Schock al campo base.I portatori e i loro carichiRisalendo il grande fiumeLa valle da noi risalitaQuasi al campo baseLe nebbie che non ci hanno mai abbandonatoDato che le previsioni meteo ci annunciavano una giornata di bel tempo seguita da 2/3 giorni di tempo instabile decidiamo di approfittare subito della giornata di bel tempo per fare una salita di acclimatamento in giornata. Io, François e Emrik decidiamo di salire ad una cima dietro al campo base per una cresta che a prima vista ci sembra abbastanza semplice e ideale come primo approccio alla spedizione, mentre il team trentino decide di puntare ad un colle sul versante opposto della valle, alla base della cresta est dell’Edgar per poi eventualmente salire ad una cima adiacente tale colle. La mattina partiamo tutti nella nebbia fitta, il sole del giorno prima è solo un pallido ricordo ma decidiamo comunque di continuare verso il nostro obiettivo fiduciosi nelle previsioni meteo. La nostra perseveranza sarà premiata perché poco sopra i 4.000mt usciamo dalla nebbia e ci troviamo con una giornata di sole perfetta. La cresta da noi scelta si rivela comunque non banale: terreno sì classico ma pur sempre impegnativo, con passaggi di roccia fino al V° grado. Ad un inizio su rocce coperte da lichene e cenge erbose segue una parte su roccia più compatta fino ad arrivare sull’anticima da cui siamo obbligati a fare una doppia di 50mt per poter proseguire. La doppia ci porta ad una forcella da dove attraversiamo per prendere un canale dove la roccia diventa decisamente più friabile ma ormai pochi metri ci separano da questa prima vetta della nostra avventura: sono le due del pomeriggio quando ci abbracciamo felici sulla punta ad una quota che supera di poco i 5.000mt. Per la discesa ci lasciamo guidare dall’istinto attraverso i vari canali che solcano la montagna e dopo qualche ora rientriamo al campo base dove Schock e Donald ci stanno aspettando con il solito riso e le proverbiali verdure! Anche i nostri amici trentini arrivano più o meno alla stessa ora e passiamo la cena a raccontarci a vicenda le salite della giornata. Noi decidiamo di dedicare la cima che abbiamo scalato a Joel, un amico scomparso sul cervino un anno fa, mentre i trentini ci raccontano di aver aperto una via sulla cima che chiameranno “Little Edgar”: come prima giornata non c’è proprio male!Salendo alla Punta Deanoz, una volta usciti dalla nebbia l'Edgar svetta imponenteIl monte EdgarSulla nostra via "Welcome to the Jungle"Il campo baseLe tende che sono state la nostra casa per un meseL'Edgar al tramontoIl gruppo del Melcyr ShanI tre giorni successivi come previsto ci riservano un meteo poco incoraggiante: tante nubi e precipitazioni, al campo base regna la solita nebbia che, pioggia o non pioggia, non ci consente di stare fuori dalle tende per più di 5 minuti senza ritrovarci ricoperti di umidità da capo a piede. Nonostante il tempo cerchiamo lo stesso di spingerci in una ricognizione verso l’enorme ghiacciaio ai piedi della parete nord dell’Edgar: qui il ghiacciaio è interrotto da un’enorme seraccata alta quasi 1.000mt che dobbiamo assolutamente riuscire a superare per poter accedere al plateau superiore che rappresenta la chiave di accesso per la parete ovest dell’Edgar. Ci rendiamo subito conto che ci aspetta un lavoro non da poco e che probabilmente alcuni passaggi ci obbligheranno ad esporci ai pericolosi seracchi ma decidiamo comunque di provarci, alla prima finestra di bel tempo. La finestra non tarda ad arrivare: dopo tre giorni di brutto tempo le previsioni ci annunciano almeno 3 giorni di tempo stabile. Decidiamo di unire tutte le nostre forze e partiamo tutti e sei alla volta dell’immensa seraccata, questa volta con l’obiettivo di superarla e di attrezzare un passaggio sicuro per poter raggiungere agevolmente il campo che vorremmo piazzare sul plateau a quota 5.200mt. Manco a dirlo la giornata risulta davvero dura: come pensavamo la nostra via di accesso passerà sulla sinistra orografica del ghiacciaio e attrezzeremo la prima parte su seracchi con passaggi strapiombanti e la parte alta sulla barra rocciosa che ci impegnerà tecnicamente fino a dover utilizzare le scarpette per passare! Comunque dopo 12 ore di lotta riusciamo a piazzare il nostro campo sul bordo dell’immenso plateau glaciale circondato da giganti come l’Edgar, il Grosvenor e la catena che li unisce come una grande corona, davvero uno spettacolo imponente! Decidiamo di chiamare questo il “Campo degli Italiani” e ci prepariamo per passare la nostra prima notte di acclimatamento a 5.200mt. Il giorno dopo saliamo fino al colle alla base della cresta sud-ovest dell’Edgar (salita dai coreani nel 2003) continuando nell’acclimatamento fino a quota 6.000mt. François, Emrik e Tomas arrivati al colle decidono di continuare sul pendio soprastante con l’idea di raggiungere un buon punto di vista per osservare le condizioni delle creste della montagna. Raggiungono la dorsale che sovrasta il colle a 6.200mt e si rendono conto di essere su una cima a se stante che chiameranno Twenty Shan, in onore a loro ventenni! Io, Bicio e Matteo intanto abbiamo già cominciato la discesa e li aspetteremo al Campo degli Italiani preparando il thè caldo. Per completare questa fase di acclimatamento decidiamo di passare un’altra notte in questo campo alto e di ridiscendere l’indomani al campo base. Durante la notte Tomas non riesce a dormire e, come ci ha poi raccontato, sentiva la Ovest dell’Edgar che lo chiamava e così a mezzanotte, da solo, decide di partire verso la parete illuminata dalla luna piena. Tomas sale da solo la parete Ovest in perfette condizioni e sbuca in cima all’Edgar poco dopo le 6 di mattina! Davvero una performance degna dei migliori alpinisti al mondo considerando anche il poco acclimatamento e le giornate precedenti dove non abbiamo proprio passeggiato! Noi lo aspettiamo al campo base dove festeggiamo con lui il suo exploit prima di cominciare la discesa verso il campo base che ci impegnerà comunque per più di 5 ore.Salendo verso la seraccata che dovremo superareCercando una via tra i seracchi...Ambiente severoAttraversando il plateau sotto la Ovest dell'EdgarIn salita verso il colle a 6000mtCerchiamo la via tra i crepacci, l'Edgar ci osserva silenziosoFrançois, Emrik e Tomas salgono verso il Twenty ShanIn discesa verso il campo baseDopo la finestra di tempo perfetto (sia per temperatura che per assenza di vento) che ha permesso a Tomas di salire la parete Ovest in quello stile, il meteo comincia a cambiare: si alternano giornate di tempo buono ad altre decisamente brutte ma mantenendo sempre una certa instabilità e soprattutto sempre con vento forte in quota. Decidiamo allora di dedicarci a esplorare le cime intorno al nostro campo base, in zone il più riparate possibile dal vento e a quote più modeste. Io, François e Emrik apriamo una bella via di roccia fino al 6b su un magnifico pilastro alto quasi 5.000mt che decidiamo di dedicare a Gerard, amico e presidente della nostra Società Guide tragicamente scomparso sul Cervino l’anno scorso (insieme a Joel). Poi durante i giorni successivi saliamo sul ghiacciaio al di sopra del Pilier Gerard Ottavio (così abbiamo chiamato il pilastro dedicato a Gerard) e andiamo a esplorare il bacino del cosiddetto Melcyr Shan. Scopriamo che oltre al già conosciuto Melcyr Shan appunto, la zona offre molte possibilità per vie nuove su bellissime cime. Nasce così la “Cresta delle 3 Sorelle”, una stupenda cavalcata realizzata in 3 giorni da me, Emrik e François su una cresta molto affilata e mai banale con ben 3 punte che sfiorano i 6.000mt. Il terreno qui è sempre il misto di alta montagna con alternanza di progressione in conserva a quella con tiri di corda. Dopo questa traversata Emrik decide di rientrare al campo base per problemi di freddo ai piedi, mentre io e François cerchiamo di sfruttare l’ultimo giorno di tempo decente per esplorare un’altra cima di questo stupendo bacino glaciale : questa salita si rivelerà più corta rispetto alla traversata delle 3 sorelle ma decisamente più tecnica, saremo infatti costretti a fare tiri di corda con difficoltà fino al 6a per poter arrivare in cima a quello che chiameremo il “Vallée Shan”, a poco più di 5.600mt. Ci sentiamo davvero appagati per le salite che abbiamo fatto in questa zona della valle e decidiamo di rientrare al campo base nella speranza di avere un’occasione per poter ritornare sull’Edgar. Nel frattempo anche i nostri amici Trentini rientrano al campo base dopo aver esplorato una valle adiacente alla nostra ed essere saliti di nuovo al Campo degli Italiani da dove sono saliti verso il Jiazi Feng, un seimila per lo più nevoso a fianco del Grosvenor.Il Piler Gerard Ottavio, una sentinella imponente sulla valleL'Edgar ci guarda sempre imponenteNebbie sempre sotto di noi ma mai troppo lontaneSalendo verso la cresta delle 3 sorelleSalendo verso la cresta delle 3 sorellePrimi tiri della cresta delle 3 sorelleSelfie sulla Punta BarbaraCresta delle 3 sorelleCresta delle 3 sorelleIl gruppo delle 3 sorelle all'albaSul ghiacciaio verso il Vallée ShanSulla cresta del Vallée ShanSui primi tiri del Vallée ShanIl colle alla base del Vallée Shan, sullo sfondo l'EdgarSoste....E creste!Siamo ormai a metà ottobre e le temperature cominciano a cambiare, al campo base si cominciano a vedere le prime nevicate e finalmente il nostro amico metereologo ci annuncia una finestra degna di un tentativo all’Edgar. I nostri due team si dividono quindi in base agli obiettivi che ci eravamo prefissati: i trentini partono alla volta della cresta sud-est mentre noi saliamo al Campo degli Italiani per tentare la cresta Nord-Ovest. Gli amici trentini al secondo giorno di salita decideranno di ritirarsi a quota 5.800mt per problemi legati alle difficoltà e alla pericolosità della salita (roccia friabile e scariche di neve e pietre). Noi invece dopo una notte al Campo degli Italiani attacchiamo decisi la cresta nord-ovest. Dopo una prima parte su terreno misto non troppo impegnativo, la cresta ci impegna a fondo obbligandoci a procedere con tiri di corda e difficoltà fino all’M5. Anche il vento soffia abbastanza forte, probabilmente sui 50-60 Km/h. Continuiamo decisi e siamo tutti ottimisti. Arriviamo al punto dove avevamo previsto di doverci spostare sulla parete nord: con grande sorpresa troviamo qui ottime condizioni e con uno stupendo tiro su ghiaccio quasi verticale sbuchiamo in cima al penultimo pilastro della nostra cresta a quota 6.450mt. Da qui dovremmo solo superare l’ultimo risalto e attraversare al di sopra della parete Ovest per raggiungere la cima. Con altrettanta nostra grande sorpresa però, ci troviamo qui alle prese con cornici quasi strapiombanti di neve inconsistente. Con grande rammarico siamo costretti a constatare che continuare per la cima comporterebbe dei rischi troppo grossi e decidiamo per la ritirata. Dopo una discesa infinita (più di 1.000mt e circa 25 doppie attrezzate con chiodi, nut spuntoni e soprattutto abalakov) raggiungiamo esausti la nostra tenda al Campo degli Italiani dove sprofondiamo nei nostri sacchi a pelo. Rientrati al campo base ci rendiamo conto di quanto vicini eravamo alla cima e alla conclusione della salita ma nonostante il rammarico pensiamo aver fatto la scelta giusta. Decidiamo comunque di chiamare il pilastro dove siamo arrivati “Pilier de l’Espoir”, nella speranza di poter tornare un giorno a completare la salita (noi o chissà, magari qualcun altro!).Il nostro cuoco all'operaIl campo base in uno dei rari momenti privi di nebbiaL'Edgar visto dal campo baseOsservando la nostra via dal plateauPrimi tiri della cresta nord-ovest dell'EdgarLungo la cresta nord-ovest dell'EdgarLungo la cresta nord-ovest dell'EdgarIn ritirata dopo aver raggiunto la cima del "Pilier de l'Espoir"Manca orai una settimana al nostro rientro in Italia, un’altra perturbazione ci investe e questa volta al campo base abbiamo 40cm di neve. Il tutto sembra lasciare poche possibilità per un ultimo tentativo sulla montagna, però dal meteo ci arriva una luce di speranza: ci saranno un paio di giorni di tempo stabile, anche se con vento sempre abbastanza forte. Decidiamo tutti insieme di fare nonostante tutto un ultimo tentativo. Saliamo al campo degli Italiani tracciando nella neve fresca che a tratti ci arriva fino al ginocchio. Arrivati al campo nel tardo pomeriggio tira un vento degno della Patagonia più selvaggia! Mentre noi installiamo il campo, François e Tomas partono per una ricognizione sul ghiacciaio e tornano con notizie poco rassicuranti: accumuli di neve e traccia tutta da fare! Dal meteo ci arriva la conferma che il vento dovrebbe calare la mattina seguente per poi tornare a rinforzare nel pomeriggio. L’idea iniziale era quella di dividerci in due team per attaccare due goulottes parallele sul versante ovest della montagna per sbucare sulla cresta aperta dai Coreani nel 2003 e da lì proseguire fino alla cima. Date le condizioni poco favorevoli modifichiamo i piani in modo da massimizzare le possibilità di arrivare in vetta: uno dei due team cercherà di salire la goulotte più evidente, mentre l’altro salirà lungo la cresta dei coreani per fare la traccia e darci la possibilità di raggiungere la cima il più velocemente possibile, consapevoli che la finestra di vento non troppo forte sarà breve e dovremo sfruttarla al massimo. Parliamo tra di noi per decidere come dividere le squadre. François e Tomas vogliono provare la goulotte mentre Emrik e Bicio vogliono salire la via coreana. A me piacerebbe salire con Tomas e François ma anche l’amico Matteo vuole andare con loro. Mi rendo subito conto che lasciare Emrik da solo con Bicio sarebbe improponibile, avrebbe significato per Emirk dover tracciare tutta la via da solo. Quindi, grazie all’impreparazione fisica di Bicio la mia scelta è obbligata: dovrò andare sulla via Coreana. Alla fine mi metto il cuore in pace dicendomi che comunque come prima esperienza a quelle quote non potevo neanche avere grosse pretese. Resta comunque un po’ di amarezza per aver dovuto fare una scelta dettata dall’impreparazione di una persone che probabilmente non avrebbe neanche dovuto partecipare ad una spedizione d questo livello. Ma torniamo ai fatti: passiamo una notte decisamente movimentata: il vento invece di mollare si fa sempre più intenso, tanto che ci ritroviamo con la tenda letteralmente schiacciata sulla faccia! Nessuno di noi riesce a dormire e alle due di notte constatiamo che la situazione non è affatto cambiata, sappiamo che così è impossibile salire e decidiamo di rimandare la partenza nella speranza che il vento cali. Incredibilmente verso le tre ci sembra che l’inferno si stia calmando e, anche se poco fiduciosi, io, Bicio e Emrik partiamo alla volta della via Coreana. François, Tomas e Matteo ci seguono partendo una mezz’oretta più tardi, sfruttando la nostra traccia per poi puntare alla goulotte. Continuiamo a salire e il vento incredibilmente si placa. Superiamo la seraccata e il ripido pendio che ci porta in cresta: mi metto la maschera per scaramanzia ma il vento è incredibilmente sopportabile. Intanto François, Tomas e Matteo sulla goulotte stanno trovando anche loro condizioni ottimali: pendii di neve compatta alternati a tiri di ottimo ghiaccio e sbucano sulla cresta Coreana quando noi stiamo attaccando l’ultimo pendio che ci porterà in cima. Come in una favola dal lieto fine, nel primo pomeriggio ci ritroviamo tutti ad abbracciarci in cima al monte Edgar, a quota 6.618mt. Tomas, François e Matteo chiameranno la goulotte da loro aperta “Colpo Finale”. Per gli amanti delle statistiche la nostra è stata la terza spedizione in assoluto a riuscire a raggiungere la vetta del mote Edgar (Tomas in solitaria ha firmato la terza salita assoluta della montagna mentre per noi è stata la quarta…Tomas di fatto è l’unica persona al mondo ad essere salito due volte in cima all’Edgar!!). Neve al campo base!Il paesaggio diventa invernaleSelfie nevosoIn salita lungo la via Coreana: ambiente grandioso!In salita lungo la via Coreana: ambiente grandioso!In salita lungo la via Coreana: ambiente grandioso!In salita lungo la via Coreana: ambiente grandioso!Ultimi metri per raggiungere la cima dell'EdgarCumbre!! 6.618mtDi ritorno al campo degli italianiIn realtà la cosa che davvero conta è che abbiamo passato un mese su montagne magnifiche a esplorare una natura selvaggia che ci ha insegnato tanto e che ha lasciato qualcosa di indelebile in ognuno di noi….Come poi scriveremo tutti insieme al campo base prima di tornare alle nostre vite di tutti i giorni: “…..Abbiamo trascorso un’esperienza fantastica, in una valle "tutta per noi" una vera avventura tra montagne inesplorate… abbiamo scalato e scoperto un nuovo angolo di mondo, siamo riusciti a scalare il Monte Edgar, una montagna complicata, difficile e pericolosa da tutti i suoi versanti…siamo stati assieme per 40 giorni tra di noi e la natura, più di così non potevamo chiedere!”Ultimo giorno al campo baseQUI DI SEGUITO GLI SCHIZZI DELLE VIE DA NOI APERTE:
Autore: Francesco Ratti 22 set, 2017
E' ufficiale, dopo infinite battaglie per ottenere permessi e visti io e i fortissimi François Cazzanelli, Emrik Favre e altri 3 amici trentini siamo in partenza per la regione dello Sichuan in Cina!!L'obiettivo è quello di divertirci, di esplorare e di salire vie nuove e cime inviolate nella zona del monte Edgar.Per chi fosse interessato può leggere la presentazione della nostra spedizione cliccando sul link seguente: SICHUAN EXPEDITION 2017Ci vediamo a Novembre, ciao a tutti!!
Autore: Francesco Ratti 22 set, 2017
E' ufficiale, dopo infinite battaglie per ottenere permessi e visti io e i fortissimi François Cazzanelli, Emrik Favre e altri 3 amici trentini siamo in partenza per la regione dello Sichuan in Cina!!L'obiettivo è quello di divertirci, di esplorare e di salire vie nuove e cime inviolate nella zona del monte Edgar.Per chi fosse interessato può leggere la presentazione della nostra spedizione cliccando sul link seguente: SICHUAN EXPEDITION 2017Ci vediamo a Novembre, ciao a tutti!!
Autore: Francesco Ratti 15 set, 2017
Era da un po' che con Davide volevamo fare una salita insieme e finita l'intensa stagione estiva (fortunatamente ricca di lavoro), finalmente si presenta l'occasione buona: siamo entrambi liberi, il meteo non è male e c'è una bella goulotte in condizioni, cosa chiedere di più?La goulotte in questione è la Grassi-Bernardi sulla Roccia Nera, una classica che non avevo mai salito. Per l'occasione si aggregano a noi anche Davide e la Fede, simpatici amici di Davide.Partiamo presto da Cervinia e saliamo con la jeep fino al colle del Teodulo (gli impianti a Cervinia sono purtroppo già chiusi). Dopo un caffè al Rifugio Guide del Cervino partiamo alla volta della Roccia Nera. L'avvicinamento non è cortissimo ma per metà mattina siamo all'attacco della goulotte. Ravaniamo un po' per tracciare la prima parte di pendio ma poi troviamo subito neve tipo "polistirolo" e ghiaccio. Le condizioni della goulotte sono eccellenti: tanto ghiaccio, ci si protegge sempre bene con le viti, anche se in alcuni punti di ghiaccio fine tornano utili anche i friend. Solo un corto passaggio di misto in traverso in cima al primo grande diedro ci obbliga ad utilizzare picche e ramponi sulla roccia. Nel primo pomeriggio usciamo sulla cresta della roccia nera passando la tanto temuta cornice che al momento è assolutamente innocua. Dopo qualche foto di rito si riparte alla volta del Rifugio Guide del Cervino dove ci attende la meritata birra!!Avvicninamento..Un po' di traccia da battere per arrivare al'attacco (foto: Davide Bernardi)AttaccoVerso l'evidente diedro ben formatoSul diedro (foto: Davide Bernardi)Il traverso di mistoVerso l'uscita (foto: Davide Bernardi)fFederica ci segueDavide sull'ultimo tiroUscitaCumbre!Il team
Autore: Francesco Ratti 15 set, 2017
Era da un po' che con Davide volevamo fare una salita insieme e finita l'intensa stagione estiva (fortunatamente ricca di lavoro), finalmente si presenta l'occasione buona: siamo entrambi liberi, il meteo non è male e c'è una bella goulotte in condizioni, cosa chiedere di più?La goulotte in questione è la Grassi-Bernardi sulla Roccia Nera, una classica che non avevo mai salito. Per l'occasione si aggregano a noi anche Davide e la Fede, simpatici amici di Davide.Partiamo presto da Cervinia e saliamo con la jeep fino al colle del Teodulo (gli impianti a Cervinia sono purtroppo già chiusi). Dopo un caffè al Rifugio Guide del Cervino partiamo alla volta della Roccia Nera. L'avvicinamento non è cortissimo ma per metà mattina siamo all'attacco della goulotte. Ravaniamo un po' per tracciare la prima parte di pendio ma poi troviamo subito neve tipo "polistirolo" e ghiaccio. Le condizioni della goulotte sono eccellenti: tanto ghiaccio, ci si protegge sempre bene con le viti, anche se in alcuni punti di ghiaccio fine tornano utili anche i friend. Solo un corto passaggio di misto in traverso in cima al primo grande diedro ci obbliga ad utilizzare picche e ramponi sulla roccia. Nel primo pomeriggio usciamo sulla cresta della roccia nera passando la tanto temuta cornice che al momento è assolutamente innocua. Dopo qualche foto di rito si riparte alla volta del Rifugio Guide del Cervino dove ci attende la meritata birra!!Avvicninamento..Un po' di traccia da battere per arrivare al'attacco (foto: Davide Bernardi)AttaccoVerso l'evidente diedro ben formatoSul diedro (foto: Davide Bernardi)Il traverso di mistoVerso l'uscita (foto: Davide Bernardi)fFederica ci segueDavide sull'ultimo tiroUscitaCumbre!Il team
Autore: Francesco Ratti 14 giu, 2017
La nord del Cervino l’avevo già visitata diverse volte in passato ma la salita integrale della via Schmidt mi mancava e, nonostante le condizioni della parete siano lontane dall’essere ottimali, decidiamo lo stesso di andare a scoprire questa via mitica. François e l’amico “skyrunner” Philip decidono di partire direttamente da Zermatt e di fare il tutto in stile “one push” mentre io Emrik saliamo la sera prima all’Hornli per prendercela un po’ più comoda. Comunque ci ritroviamo tutti sotto lo scivolo d’attacco della parete poco dopo le 4 del mattino. La parete è secca come ce l’aspettavamo e la progressione è tutt’altro che veloce. Nonostante tutto riusciamo lo stesso a salire a buon ritmo nel primo pomeriggio stiamo per uscire dalle difficoltà quando un sasso caduto dall’alto colpisce Emrik sul casco sfondandoglielo e ferendolo alla testa. Nonostante lui stia bene decidiamo di non rischiare e chiamiamo l’elicottero perché possa farsi controllare subito da un dottore: con la testa non si scherza! L’elisoccorso svizzero è come sempre super efficace e in un batter d’occhio arrivano a prelevare Emrik, mentre io decido di continuare la salita con François e Philip. Nonostante i soccorsi siano arrivati velocemente l’operazione ci ha portato via un po’ di tempo e arriviamo in cima solo alle 16.30. Dopo le foto di rito ci avviamo a scendere lungo la cresta del Leone: Philip è molto stanco e siamo costretti a procedere lentamente e solo alle 22.00 raggiungiamo la mia jeep parcheggiata sotto al rifugio Duca degli Abruzzi. Ci sinceriamo delle condizioni di Emrik che dall'ospedale ci rassicura che si è trattato solo di un brutto taglio: se la caverà con qualche punto di sutura. Noi ci godiamo quindi una meritata pasta a casa Cazzanelli e un bella nottata di riposo!Verso l'HornliSerata ventosa...In cima allo scivolo di neve all'alba si comincia l'infinito traverso verso destra...AmbienteVerso la famosa rampaLungo la nordIn uscita sulla cresta di ZmuttSummit!!
Autore: Francesco Ratti 14 giu, 2017
La nord del Cervino l’avevo già visitata diverse volte in passato ma la salita integrale della via Schmidt mi mancava e, nonostante le condizioni della parete siano lontane dall’essere ottimali, decidiamo lo stesso di andare a scoprire questa via mitica. François e l’amico “skyrunner” Philip decidono di partire direttamente da Zermatt e di fare il tutto in stile “one push” mentre io Emrik saliamo la sera prima all’Hornli per prendercela un po’ più comoda. Comunque ci ritroviamo tutti sotto lo scivolo d’attacco della parete poco dopo le 4 del mattino. La parete è secca come ce l’aspettavamo e la progressione è tutt’altro che veloce. Nonostante tutto riusciamo lo stesso a salire a buon ritmo nel primo pomeriggio stiamo per uscire dalle difficoltà quando un sasso caduto dall’alto colpisce Emrik sul casco sfondandoglielo e ferendolo alla testa. Nonostante lui stia bene decidiamo di non rischiare e chiamiamo l’elicottero perché possa farsi controllare subito da un dottore: con la testa non si scherza! L’elisoccorso svizzero è come sempre super efficace e in un batter d’occhio arrivano a prelevare Emrik, mentre io decido di continuare la salita con François e Philip. Nonostante i soccorsi siano arrivati velocemente l’operazione ci ha portato via un po’ di tempo e arriviamo in cima solo alle 16.30. Dopo le foto di rito ci avviamo a scendere lungo la cresta del Leone: Philip è molto stanco e siamo costretti a procedere lentamente e solo alle 22.00 raggiungiamo la mia jeep parcheggiata sotto al rifugio Duca degli Abruzzi. Ci sinceriamo delle condizioni di Emrik che dall'ospedale ci rassicura che si è trattato solo di un brutto taglio: se la caverà con qualche punto di sutura. Noi ci godiamo quindi una meritata pasta a casa Cazzanelli e un bella nottata di riposo!Verso l'HornliSerata ventosa...In cima allo scivolo di neve all'alba si comincia l'infinito traverso verso destra...AmbienteVerso la famosa rampaLungo la nordIn uscita sulla cresta di ZmuttSummit!!
Autore: Francesco Ratti 30 mag, 2017
Finalmente dopo la stagione invernale posso abbandonare gli sci e ritornare un o’ ad accarezzare la roccia. La voglia di vie lunghe è tanta e il meteo favorevole mi hanno permesso di salire nel giro di un paio di settimane diverse ve in posti sempre stupendi: Andermatt,Arco, Val di Mello, Verdon…cosa chiedere di più? Speriamo che la stagione continui così e che le condizioni per l’alta montagna si presentino presto buone!Franz Cazzanelli in action su "Total Plook" al Pic Adolphe ReyEternal Crack - sul granito di AndermattBac sul tiro chiave di Lavorare con Lentezza al Precipizio degli Asteroidi - Val di MelloLavorare con Lentezza al Precipizio degli Asteroidi - Val di MelloBac sulle placche della parte alta di "La Spada nella Roccia" - Qualido, Val di MelloMago sulle placche della parte alta di "La Spada nella Roccia" - Qualido, Val di MelloFestival - bella via dei fratelli Remy al Colodri, Arco di TrentoUn po' di trad ad Annot prima di spostarci in VerdonAlix Punk al Duc, Gorges du VerdonLa Noisette Enregee - VerdonDouble Fond - Verdon
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